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Nel corso degli anni il gioco combinatorio fra natura e tecnica si fa sempre più sottile e poetico, la rappresentazione più brillante e virtuosistica, al limite dell'iperrealismo fotografico; il taglio della composizione, sinora simmetrico e ortogonale, sul modello settecentesco, si fa sghembo e coinvolgente, mentre il soggetto si spoglia del cumulo dispersivo dei dettagli (penso soprattutto a fogli come Macinino, del 1981-82, o Bicicletta, del 1980).
Ma alla fine il simbolismo troppo scoperto e intellettualistico della tematica mostra la corda, l'artista avverte che esso vela, più che svelare, i contenuti reali: una via senza uscita che Gatti, ormai padrone di una tecnica stupefacente, abbandona gradualmente fra P85 e l'86 mutando radicalmente i temi e in parte lo stile (ma è un'evoluzione che riguarda anche altri artisti a lui affini, ad esempio Gianfranco Ferroni).
Lo straniamento, il mistero, la nostalgia, sono sensazioni tanto più intense quanto più discreto e imprevedibile è il dispositivo che le suscita, quanto più normali e quotidiane sono le condizioni in cui si manifestano.
A partire dall'87 i soggetti non sono più costruiti attraverso accostamenti melodrammatici di realtà eterogenee, ma ricercati nell'ambiente della vita di tutti i giorni, tra casa, quartiere e atelier: sono i tinelli borghesi con le tende fluttuanti controluce, gli androni dei palazzi di primo Novecento, i portici di via Po, le vedute del fiume alla Gran Madre, tutta una Torino un po' obsoleta e se si vuole convenzionale, ma presente e viva, ricca di un fascino immutato, reso tanto più struggente dalla minaccia (più interna che esterna) dell'avanzare di modelli di vita incompatibili.
Il tema di fondo, a cui l'iconografia della vecchia Torino fa da supporto, è dunque quello della nostalgia di un equilibrio antico tra interno ed esterno, tra città e dintorni, tra pubblico e privato, di uno stile dell'esistenza che la visione civilmente conservatrice dell'artista propone come ancora attuale e possibile: perché, sembra suggerirci, al di là del falso conflitto tra polveroso e inerte vecchiume e asettica e azzerante modernità, entrambi modi contemporanei di morte, vai pure la pena di coltivare l'ipotesi di un abitare dignitoso e senza lacerazioni col passato (il silenzioso raccoglimento dello studio o del laboratorio con i libri, i barattoli, gli strumenti collocati in vivo e controllato disordine, le tende leggere e profumate che giocano con il vento e con la luce, il vecchio pavimento lucidato a cera che riflette l'arredo di famiglia — le sedie Thonet ben raccolte intorno al tavolo rotondo, la poltrona Luigi Filippo che sembra emanare la presenza e la meditazione delle generazioni) e di un vivere in rapporto non traumatico col mondo esterno: quel mondo esterno che, dall'interno della casa, si identifica con la luce calda e abbagliante oltre la finestra e l'androne fresco e protetto, e, varcata questa magica soglia, la città armoniosa e umana, con le vie scandite dalle ombre lunghe dei portici e le civili architetture, a cui fa da cornice il sogno della collina verde e, come prospettiva sul mondo, il respiro del fiume. ........
Guido Giubbini
Cat. Ediz. Le Immagini - Torino