È l’altra vita, speculare a quella in atto, che fornisce a Mario Gosso un repertorio ricchissimo di materiali, strumenti, occasioni, sedimentate esperienze; restando che il trauma frapposto sancisce un distacco, un surplus di sorpresa e di ironia. Mentre è questa vita, attimo dopo attimo, che eccita il divertimento delle varianti e sostiene il gioco delle combinazioni, tanto consapevole delle regole quanto delicatamente provocatorio. …. Mario introduce a proposito l’immagine suggestiva del grigio: pensate ai grigi di un certo divisionismo specialmente compromesso con il simbolico, veri “microcosmi iridescenti” intessuti di schegge e fili e punti di color puro, che, per infinite interferenze, restituiscono una diffusa luminosità neutra (sarebbe bianco, se non fosse del bianco una approssimazione e una declinazione). La medietà del grigio: immagine fisica di una dimensione culturale psichica e addirittura metafisica altrimenti indescrivibile, in un certo senso per insignificanza.
Pino Mantovani
Si può parlare di scrittura, di trame pittoriche, di circolarità del lavoro attraverso un filo d’Arianna che simboleggia l’eterno ritorno: ma forse è poca cosa e imprecisa per entrare nelle derive oggi percorse da Mario Gosso dove è l’insistenza del frammento (figurato e scritto) a stabilire immediatamente la separazione da ogni certezza acquisita e a fondare l’istanza del ritorno. La coscienza di stare tra le vestigia del mondo, quando l’affanno creativo e consolante della memoria genera insonnie di fertili segni , sposta l’attenzione dell’artista dall’ormai impo sibile contemplazione di un presunto ordine verso l’inestricabile matas a dei sentieri immaginativi, costellati e awalorati soltanto da apparizioni. E’ qui che il ritorno, in Mario, prende il suo senso, ritrova il bàndolo, l’antica via verso la lastra incisa, indizio speculare e labirintico di quell’ironia (prendere in giro, appunto) che l’autore ha sistemato all’interno della propria poetica/etica quale salvezza dall’angoscia che reca ID sé il pensiero deII’irraggiungibilità di codificazioni permanenti. Siamo in presenza di un’autentica situazione congetturale (in enso squisitamente borgesiano) redatta in mappe visionarie assai personali ma incredibilmente coinvolgenti, condivisibili in virtù di quel lucido piacere che nasce dall’attesa di rivelazione. Uno stato d’animo ben conosciuto da Mario per la consumata esperienza d’incisore con i tempi lunghi, i travagliati passaggi necessari al manifestarsi fmale dell’opera. Il linguaggio di Gosso è unico nelle sue infinite variazioni, catturato da un’idea atomistica del segno e del colore. Lungi dal rappresentare, queste sostanze primarie combinano, in un ideale crogiuolo, i pezzi di una realtà evocata: pittura e incisione non sono che i due momenti del laborioso procedimento alchemico/poetico intrapreso dall’artista. Nonostante la ricchezza dei riferimenti colti e sapientemente selezionati, in lui non c’è inventario né citazione, tantomeno repertorio. Piuttosto vi riemerge la pagina miniata, come accade esemplarmente in Paleografia (2003), complessa operazione incisoria in cui scrittura e immagine cantano uo’infmita nostalgia di bellezza e di silenzio. Icone di mondi scomparsi, o in via di sparizione, le opere di Gosso scaturiscono da un accanito ritornare sul già appreso, sul già sperimentato, nell’assoluta consapevolezza che ogni volta, per l’artista, torna ad essere la prima volta. L’impeccabile dominio delle tecniche non ha per nulla scalfito, in Mario, questa splendida fragilità. Forse è proprio l’awertire [‘irriducibile natura profonda che sta all’origine del generarsi e dell’apparire della forma (2) che ba da tempo awicinato il nostro autore a Rilke, dove dato immaginifico e parola poetica rivelano, come nella composizione che segue, l’idea di ciclicità inesauribile ma sempre varia degli eventi.
Ida lsoardi